(Sora, Italia 1901 - Parigi, Francia 1974)
La prima parte della carriera del
regista è il risultato della collaborazione con lo sceneggiatore
Cesare Zavattini, che aveva individuato nel «pedinamento» del
personaggio la possibilità di cogliere con la cinecamera la vera
realtà quotidiana, gli elementi più genuini di un comportamento
umano determinato da particolari condizioni ambientali e
sociali.
De Sica fu di questa poetica il più
sensibile realizzatore portando alle estreme conseguenze formali un
modello di cinema trasparente che avrebbe dovuto in larga misura
occultarsi come mezzo d'espressione per ridursi alla semplice
funzione di riproduttore della realtà fenomenica. I luoghi, le
situazioni e i personaggi, considerati nella loro funzione di
«tipi» di una condizione sociale, scelti per il loro carattere
emblematico, dovevano costituire essi stessi il materiale
drammatico, attorno al quale si costruiva la denuncia sociale e
politica. Immagini e dialoghi, fuori dei canoni di una drammaturgia
convenzionale, ma non esenti da una schematizzazione
utilitaristica, dovevano comporsi in uno spettacolo che, pure
opponendosi sul piano formale al cinema di stampo
hollywoodiano (attori non professionisti, assenza quasi totale
di scenografie, montaggio piano e discorsivo, cinecamera mobile),
proprio sullo spettacolo inteso come somma di momenti
drammaticamente efficaci era costruito.
I film di De Sica e Zavattini
denunciano un attento lavoro di sceneggiatura e il realismo della
ripresa, l'apparente immediatezza delle immagini e dei dialoghi,
devono fare i conti con un testo di partenza alquanto elaborato.
Anche il sentimentalismo si stempera in una rappresentazione non
convenzionale dei fatti drammatici, in cui ragione e sentimento
paiono fondersi in quell'unità formale, dalla quale scaturisce una
visione non edulcorata dei problemi umani e sociali.
De Sica vince due premi Oscar per
il Miglior Film Straniero, con Sciuscià (1946) e con
Ladri
di biciclette (1948), che mettono compiutamente in pratica la
poetica del pedinamento, che comincia a prender corpo nel primo
film, dove l'osservazione attenta e partecipe della sofferenza,
calata in un contesto drammatico strettamente legato alla
situazione storica, si fa problematica, accusatrice. Nel secondo
film questa poetica raggiunge un alto livello espressivo : l'esile
trama del furto di una bicicletta e della sua affannosa ricerca è
un pretesto per analizzare da un lato una città come Roma in un
giorno di festa, dall'altro il grave problema del lavoro e della
disoccupazione, allargando il significato del film dal ristretto
ambito di un fatto di cronaca al vasto orizzonte di un problema
generale, la cui universalità è espressa proprio narrando nei modi
più autentici la storia di un disoccupato, sullo sfondo vero di una
città e di un popolo, senza bisogno di caricarli di simboli.
De Sica e Zavattini realizzano poi
Miracolo a Milano (1951), interpretazione critica in
chiave irrealistica della realtà, e l'ultimo capolavoro del periodo
neorealista,
Umberto D. (1952), ritratto della solitudine di un vecchio, in
cui il pessimismo che grava su tutta l'opera denuncia una
condizione ingiusta. Le opere seguenti di De Sica e Zavattini non
riescono a sviluppare ulteriormente quell'indagine acuta della
realtà contemporanea che era presente nei loro film precedenti.
Questa crisi espressiva, correlata
alla più generale crisi del cinema italiano degli Anni Cinquanta, a
sua volta dipendente dall'involuzione politica della società del
tempo e dalla grave crisi politica internazionale, porta la
collaborazione fra i due a un punto morto, Il
tetto (1956), che segna la fine d'una esperienza estetica
e culturale che ormai denunciava i suoi limiti.
I film successivi, dopo alcuni anni
di silenzio, sono tutt'altra cosa: al di là dei loro eventuali
pregi, film come La ciociara (1960) non riescono a
sviluppare un discorso sulla realtà che esca dagli schemi dello
spettacolo consueto, secondo le regole codificate della
drammaturgia tradizionale, elegante quanto superficiale. Siamo
ormai molto lontani dal primo neorealismo, che d'altronde aveva
denunciato anche nell'opera di altri autori i suoi limiti in
rapporto alla nuova realtà degli Anni Sessanta e Settanta, ma siamo
anche molto lontani da ogni serio tentativo di approntare nuovi
strumenti d'indagine e di rivelazione del reale, nell'uso del
cinema come documentazione critica.
Ladri di
biciclette (1948)