(Milano 1906 - Roma
1976)
Nato in una ricca famiglia nobile,
si forma negli anni del fascismo, che non condivide; trasferitosi a
Parigi a metà degli Anni Trenta, in pieno periodo del Fronte
Popolare, diventa assistente di Jean Renoir. Con
Ossessione (1943) porta sullo schermo un adattamento de Il
postino suona sempre due volte, dello scrittore statunitense
James Cain: fu considerato uno dei film che meglio indicava la
nuova strada del cinema italiano, in direzione di un realismo che
si contrapponesse all'ufficialità o al disimpegno del cinema
fascista, mentre andrebbe piuttosto visto come il primo capitolo
d'un lungo romanzo -in parte autobiografico- che Visconti comporrà
nel suo percorso artistico.
Terminata la guerra, il cinema
italiano, con i suoi autori più significativi, si muove in
direzione del neorealismo, Visconti invece, pare
rinchiudersi in un silenzio che vuole essere, prima d'ogni altra
cosa, una meditazione sulla funzione dell'artista in una società
libera e progressista, sui suoi rapporti con le classi emergenti,
sul recupero della tradizione in un nuovo contesto sociale e
politico. Questo silenzio riguarda in particolare il cinema,
poiché, proprio a partire dal 1945, Visconti inizia un'intensa attività
teatrale, che lo vedrà applaudito regista di drammi e commedie di
autori classici contemporanei.
Il suo secondo film, La terra
trema, uscirà soltanto nel 1948, collocandosi al di fuori del neorealismo che
in quegli anni si era sviluppato attraverso le opere di Rossellini,
De Sica e
Zavattini; il dialetto di Aci Trezza parlato dai personaggi, i
luoghi ed i personaggi stessi, tratti dalla realtà sociale e
geografica, assumono una dimensione di evidente finzione, di
mediazione rispetto all'immediatezza del reale, di una sua
interpretazione colta, fuori dai canoni del cinema
neorealista. Questo si vede anche nel parziale fallimento dei
risultati artistici ottenuti dal successivo
Bellissima (1951), da un soggetto di Zavattini, in cui la
poetica del neorealismo mal si esprime in uno stile
che tenta di mediare la realtà documentaristica con la drammaturgia
del personaggio a tutto tondo, delle scene madri, dei violenti
contrasti di carattere. In questo caso, Visconti ha puntato sul
personaggio della protagonista, interpretato da Anna Magnani,
riuscendo tutt'al più a comporre un ritratto su misura
dell'attrice, che si stacca nella sua presenza scenica dalla
mediocrità del quadro.
Diverso è il caso di
Senso (1954), Rocco e i suoi fratelli (1960), Il
Gattopardo (1963), in cui è notevole l'uso del colore, La
Caduta degli dei (1969): in questi film Visconti ha saputo
sviluppare un discorso corale, fortemente caratterizzato sul piano
dei contenuti storici, in cui la crisi dell'individuo o del gruppo
sociale è vista alla luce di un'interpretazione non superficiale
della società e della storia, così che i casi personali sono
trattati nel loro significato emblematico, proponendo un'analisi
del personaggio nella sua dimensione esistenziale accanto a un
quadro d'insieme, in cui i fatti e gli ambienti si collocano nella
loro precisa individuazione storica.
Visconti sviluppa il suo discorso volto a mettere in luce le
contraddizioni dell'individuo, la crisi ideologica e morale che ne
impedisce l'affermazione positiva, approfondendo quell'indagine
comportamentistica sul personaggio che già in Senso e,
soprattutto, ne Il Gattopardo si manifesta in lunghi
indugi narrativi, in sequenze sospese, in pause drammatiche
illuminanti, una tendenza che si fa preminente nei film degli Anni
Settanta.
In questo percorso autobiografico,
dalla crisi dell'individuo nella società gretta e provinciale
dell'Italia fascista di Ossessione alla crisi
dell'individuo nella società altrettanto disumana del
neocapitalismo avanzato di Gruppo di famiglia in un
interno (1974) e L'innocente (1976), Visconti ha saputo
calare la sua cultura artistica e letteraria, raffinata e
aristocratica, sottintendendo trent'anni di storia
italiana.
Il
Gattopardo (1963)