(1894-1969)
Tra le figure emblematiche del cinema americano
degli anni Trenta, Joseph von Sternberg nasce a Vienna, ma
giovanissimo emigra negli Stati Uniti, dove muove i primi passi nel
mondo dello spettacolo, come tecnico fotografico e sceneggiatore,
al termine della prima guerra mondiale. Nel 1925 si impone
all'attenzione della critica con Salvation Hunters, nel
quale la vicenda da feilleuton viene interpretata, ispirandosi al
Kammerspiel tedesco, con toni da «tragedia moderna», in
cui si fondono il simbolismo delle immagini con il realismo di
personaggi e ambienti. Le opere realizzate negli anni del muto si
caratterizzano per la forte impronta naturalistica, accostata a
cadenze melodrammatiche, echi simbolisti e decadenti, come ne
Le notti di Chicago (1927) o I dannati
dell'oceano (1928).
Nel corso di un soggiorno in
Europa, nel 1930 a
Berlino, dirige Marlene Dietrich e Emil Jannings nel drammatico L'angelo
azzurro, storia di una cantante di cabaret che diventa
l'ossessione di un mite professore, che morirà senza essere
riuscito a scalfirne l'indifferenza. Comincia con questo film il
sodalizio artistico di von Sternberg con l'attrice tedesca, con la
quale girerà, una volta tornato a Hollywood, altri sei
lungometraggi: si esplicita in tal modo la figura della donna
ammaliatrice, dal fascino conturbante, personaggio cupo, riflesso
del volto meno rassicurante della società americana. Prende vita
una galleria di ritratti al femminile, ambigui e contraddittori,
modellati sul viso e i gesti della Dietrich: la cantante innamorata
di un legionario in Marocco (1930); la prostituta-spia che si immola per
salvare la vita del suo amante, un ufficiale russo, in
Disonorata (1931); Helen, che per pagare le cure mediche del
marito sceglie di cantare in un night-club, così come di accettare
la corte di un playboy; ancora una prostituta salvatrice, Shanghai
Lily, in Shanghai Express (1932); l'imperatrice
Caterina la Grande di Russia nel film storico L'imperatrice
Caterina (1934);
infine, in Capriccio spagnolo (1935), l'affascinante Concha Perez, che suscita la
gelosia feroce dei suoi due amanti sullo sfondo di una Spagna da
operetta.

I motivi drammatici e narrativi
cari al regista, intessuti di elementi barocchi, decadenti,
onirici, sono sostenuti da una poetica formale giocata sul ruolo
predominante della luce, per cui si è parlato di lui come «ultimo
espressionista», sulle dissolvenze, sui movimenti di
macchina e i filtri, tracce di un rigido controllo espressivo,
che non attenua, tuttavia, la carica eversiva delle proprie opere,
lo sguardo critico verso quell'«american way of life» esaltato con
forza da una parte del cinema contemporaneo.
Negli anni successivi von Sternberg
prosegue il personale discorso sull'irrazionalità celata
nell'essere umano, in attesa di una causa scatenante, che egli
identifica quasi sempre nell'intervento di un essere femminile
«demoniaco», capace di suscitare le passioni più violente e
trasformarle in follia: è il caso della cinese Gin Sling,
proprietaria di una bisca, che irretisce per vendetta la figlia
dell'ex amante ne I misteri di Shangai (1941); oppure Keiko, nel
suo ultimo film L'isola della donna contesa (1953), che, simbolica ape
regina, conduce un gruppo di marinai giapponesi a lottare fino alla
morte per ottenerne i favori.