(Uppsala, 1918 - Fårö, 2007)
"Bergman è il cineasta
dell'istante. La sua macchina da presa cerca una sola cosa:
cogliere il momento presente in ciò che esso ha di più fugace e
approfondirlo per dargli valore d'eternità ". Jean-Luc
Godard
La profondità metafisica della
poetica bergmaniana, quale intreccio di espressionismo e realismo,
si nutre in parte dell'esperienza del naturalismo svedese (in
particolare l'opera di Victor Sjöström) e del «realismo poetico»
francese.
L'essere è il centro di tutta la
sua speculazione filosofica e narrativa, l'intensità della
rappresentazione affiora attraverso una macchina da presa che
scruta gesti e volti; primi piani che divengono specchi
dell'anima, in una trasparenza negata talvolta da una parola che ne
racconta la corruzione. Un'arte di disvelamento, tra paesaggi
scarnificati e atmosfere rarefatte, e di una crisi sempre in
atto.
Da un'opera come Monica e il
desiderio (Sommaren med Monika, 1952): la brevità di
un'estate diviene metafora di una storia d'amore ribelle alle
convenzioni sociali, tra illusione e amarezza, alla grande
notorietà de Il Settimo
sigillo (Det sjunde inseglet, 1956). Film religioso,
sul silenzio di Dio (che non si manifesta mentre il mondo manifesta
il male in suo nome) e su quella Santità di cui l'uomo è portatore,
secondo Bergman.
Il successivo Il posto delle
fragole (Smultronstället, 1957) rappresenta
l'infanzia. Victor Sjöström incarna Isak Borg, la sua nostalgia e
conversione: tentare, alla fine dell'esistenza, di sottrarsi alla
propria maschera; un'unica giornata capace di ripercorrere
un'intera vita, tra incubi, vita presente che scorre e ricordi.
Seppur negata più volte dallo
stesso regista, segue la cosiddetta trilogia religiosa:
da Come in uno specchio (Sasom i en
spegel, 1961) a
Luci d'inverno (Nattvardsgästerna, 1962) fino a Il
silenzio (Tystnaden, 1963). Vedere Dio in
Come in uno specchio significa un'allucinazione: una
porta dischiusa, "ma il Dio che è entrato era solo un ragno dal
viso ripugnante e gelido". Le luci d'inverno dell'omonimo film
rivelano l'intensità dei volti, e rappresentano lo scopo e l'amore
in un'opera di smarrimento religioso di un pastore abbandonato
dalla fede. Il terzo film, quasi privo di dialoghi, sancisce il
definitivo "silenzio di Dio", tramite il viaggio di due sorelle e
del figlio di una di queste in una terra sulle soglie della
guerra.
Persona (id., 1966), dal latino maschera, è una complessa
metafora sul ruolo dell'artista. Film fortemente sperimentale, a
partire dalle tecniche di montaggio, racconta il dramma del doppio,
quello di una crisi che diventa mutismo e rifugge la maschera che
la vita impone di recitare.
Dopo Il
Volto (Ansiktet, 1958), anche Il rito (Riterna, 1969) rivendica un'arte
"libera, impudica e irresponsabile" (I.Bergman) attraverso un'opera
che diventa rappresentazione di tale atto eversivo, alla fine quasi
una sorta di cerimoniale, di rito violentemente erotico contro un
giudice e censore.
Sono anni fondamentali per Bergman,
verso quell'essenzialità di stile e di sintesi formale che lo
condurranno a Sussurri e grida (Vinskningar och
rop, 1973). Le
ultime ore di vita di una donna nella vecchia casa di famiglia, il
mistero della vita e della morte nel momento della sua
accettazione.
Infine il grande affresco storico e
autobiografico di Fanny e
Alexander (Fanny och Alexander, 1982), magistrale
ricapitolazione della sua vita e della sua arte.
Fanny e
Alexander (Fanny och Alexander, 1982)