(1892-1947)
Considerato uno dei maestri
indiscussi della commedia sofisticata, Ernst Lubitsch nasce a
Berlino e fin da giovane si avvicina al teatro, vestendo i panni di
attore sotto la pluriennale direzione di Max Reinhardt, in quel
periodo alla guida del Deutsches Theater. Alla fine degli anni
Dieci lascia il palcoscenico per cimentarsi dietro la macchina da
presa, iniziando con la regia di alcuni drammi storici, per esempio
Sangue gitano (1918), Madame Du Barry (1919) e Anna
Bolena (1920), nei quali sperimenta le nuove possibilità
spettacolari che il cinema mette a disposizione: il montaggio, le
scenografie, i ritmi visivi ottenuti grazie al gioco delle inquadrature e
del movimento degli attori.
Contemporaneamente realizza diverse
commedie, che rivelano le doti umoristiche di Lubitsch, mosse da
un'impietosa analisi della società virata su toni ironici ed
eleganti: in particolare La principessa delle
ostriche (1919), La bambola di carne (1919) e Lo
scoiattolo (1921) sono da ritenersi tra gli esiti migliori del
regista.
Chiamato negli Stati Uniti
sull'onda del successo in Europa, Lubitsch trova terreno fertile
nel sistema hollywoodiano, che gli concede grandi mezzi,
scenografie sontuose, interpreti famosi, permettendogli di
perfezionare il proprio stile, leggero ma pungente, e il linguaggio
formale adeguato per esprimerlo; l'avvento del sonoro gli offrirà,
inoltre, l'opportunità, di accostare le immagini con i dialoghi, i
suoni e i rumori, in modo tale da maturare un'unità spettacolare
particolarmente efficace.
Nascono i suoi film più celebri:
Il principe consorte (1929), prototipo del musical hollywoodiano, Mancia
competente (1932), La vedova allegra (1934), trasposizione in
chiave satirica dell'operetta di Franz Lehar,
Ninotchka (1939), storia di una commissaria politica russa
che, a contatto con il mondo frivolo dell'alta società parigina,
perde la rigida intransigenza morale per soddisfare la propria
felicità.
L'affermazione di questo modello di
commedia
sofisticata, un'elegante fusione di dialoghi brillanti, arguti
ritratti di ambienti e personaggi, che lascia intravedere un'amara
considerazione sulla solitudine e l'ipocrisia umana, diventa il
segno distintivo di Lubitsch, tanto da venire ribattezzato
Lubitsch's touch (tocco di Lubitsch).
All'interno della nutrita
filmografia americana del regista, che conta una trentina di titoli
in poco più di vent'anni, si annoverano due opere che si
discostano, seppur di poco, dalla produzione consueta, mostrando
risvolti drammatici più accentuati: Vogliamo vivere (1942), racconto delle
vicende di una compagnia di teatro polacca nella Varsavia occupata
dai nazisti, e Il cielo può attendere (1943), che, attraverso la
storia di un dongiovanni che ripercorre la sua vita in attesa del
giudizio divino, rappresenta una sorta di testamento spirituale e
artistico dell'autore.
Ernst Lubitsch muore pochi giorni
dopo l'inizio delle riprese di La signora in
ermellino (1947), che verrà portato a termine da Otto
Preminger.
