Il war movie si struttura
all'interno della cinematografia americana e tratta eventi di
guerra, ricostruzioni di battaglie e campagne militari. Molte
opere, almeno fino allo scoppio del prima guerra mondiale, avranno
una forte dimensione celebrativa e spettacolare nella rievocazione
delle battaglie campali della storia patria più o meno recente
(come la guerra di secessione riletta da David Wark Griffith
nell'affresco di La nascita di una nazione - The Birth
of a Nation, 1915).
Terminato il secondo conflitto
mondiale, il venir meno della dimensione eroica e collettiva
lascerà affiorare il dubbio e la complessità psicologica di un
personaggio dall'agire sempre più dimesso e dispersivo.
In Italia, all'indomani della
caduta del fascismo, senza più studi o strutture produttive, il cinema
neorealista si muove in uno spazio sconvolto, la macchina da
presa in un mondo di macerie in cui accadono drammi collettivi e
straordinarie manifestazioni di umanità, senza più alcun occhio
privilegiato. Così sono da intendersi la morte di Pina nella nota
sequenza di Roma città
aperta (Roberto Rossellini, 1946) o gli episodi di
Paisà (Roberto
Rossellini, 1946).
La disillusione e l'inutilità della
guerra come folle e cieca violenza emergeranno invece nel cinema americano nei
primi anni '50 con il conflitto in Corea e soprattutto nel
decennio successivo col Vietnam. Nell'epilogo di Full
Metal Jacket (Stanley
Kubrick, 1987) la marcia dei soldati che si allontanano
nella notte cantando l'inno di Topolino, crea un corto circuito
audiovisivo, misura del grottesco del conflitto.
Roma città
aperta (R. Rossellini,Italia 1945)