Da intendersi primariamente come
mezzo espressivo autonomo, per l'assoluta libertà creativa
dell'animatore, non vincolato ai limiti della realtà fenomenica e
capace di infondere movimento, cioè vita, a ciò che ne è privo
perché inanimato. Dal primo esempio di cinema d'animazione con il
teatro ottico di Émile Reynaud, alla ripresa a fotogramma singolo
(con la tecnica dello stop motion, conosciuto anche con il nome di
passo uno, è possibile utilizzare oggetti per la creazione
di effetti speciali, come fece Méliès per i suoi trucchi), fino
al primo film disegnato (Fantasmagorie, Émile
Cohl, 1908), che
recide definitivamente i legami con il cinema dal vero.
Grande curiosità per l'animazione
mostrò anche l'avanguardia astratta, interessata allo studio del
movimento, trovandosi su un versante opposto rispetto
all'integrazione narrativa che coinvolse anche il disegno animato.
In questa direzione, si ricorda l'opera di Walt Disney che con il
primo lungometraggio animato della storia del cinema
(Biancaneve e i sette nani, Snow White and the seven
Dwarfs, 1937) mostrerà come un intreccio lineare conviva
ancora con resistenze surrealiste ed espressioniste.
Esiste poi un'animazione svincolata
dal cartone. Jan Švankmajer torna alle origini usando lo stop
motion e dando vita a situazioni stranianti e
grottesche. Il cibo è elemento ricorrente della sua poetica oltre
che il titolo di un suo lavoro (Cibo, Jìdlo, 1992). Suoni esasperati,
viscere che emettono suoni metallici e dettagli poco edificanti
raccontano come il corpo possa diventare un erogatore di cibo da
fast food e come perfino l'umano sia meccanizzabile.
Ormai la computer grafica e il
digitale, in 2 e 3D, rappresentano i nuovi terreni su cui si muove
l'animazione.
