Se alcuni elementi di quello che
sarà il "neorealismo" italiano sono rintracciabili in alcuni film
prodotti in periodo fascista, è solo con la liberazione
dall'occupazione e l'instaurazione di uno Stato democratico che il
cinema poté liberamente rivelare e documentare la realtà
contemporanea.
La disastrosa situazione economica
del dopoguerra favorì la produzione di un cinema "dal basso", con
pochi mezzi e poco personale. L'utilizzo di attori non
professionisti, girando alla giornata con piani di lavoro
provvisori, con materiale cinematografico di scarsa qualità, faceva
dello stile di ripresa immediato e poco elaborato una cifra
stilistica comune dei neorealisti.
Il linguaggio tendeva ad
identificarsi con la riproduzione pura e semplice della realtà
quotidiana, una realtà vissuta giorno per giorno dagli autori al
fianco dei personaggi, ispirati a donne e uomini reali, immersi in
situazioni umane e sociali fittizie, anch'esse riconducibili alla
situazione storica generale.
Il neorealismo volle considerare il
cinema come una "finestra aperta sul mondo", uno strumento di
documentazione della realtà, capace di dare una raffigurazione
genuina ed immediata di quest'ultima. Secondo la teoria della
trasparenza, il significato del cinema risiedeva nella stessa
realtà riprodotta senza possibilità di manipolazioni
semantiche.
Significativa in tal senso è la
teoria di Zavattini del "pedinamento" (o del "coinquilino" o ancora
del "buco della serratura") che offre la possibilità di cogliere
con la cinepresa la vera realtà quotidiana e gli elementi più
genuini del comportamento umano determinato da particolari
condizioni ambientali e sociali.
Roberto Rossellini, con Roma città
aperta (1945) sancisce l'inizio del cinema neorealista,
seguito da Vittorio de Sica (Ladri di
biciclette, 1948) e Luchino Visconti con il suo
"cinema antropomorfico".
Parallelamente, ci fu un recupero
della narrativa del cinema popolare aggiornato in temi e contenuto
alla situazione politica e sociale. Si parlò anche in questo caso
di neorealismo, in quanto storie e personaggi erano attinti dalla
vita quotidiana; tuttavia, questo cinema "romanzesco" si rifaceva
più semplicemente a vecchi schemi adattati alla realtà
contemporanea (ad esempio, Pietro Germi con Divorzio
all'italiana, 1961).
Roma città aperta (R.
Rossellini, 1945)
Ladri di biciclette (V. De
Sica, 1948)
Divorzio
all'italiana (P. Germi, 1961)