(Manchester, 1956)
Dopo aver lavorato nel teatro come
direttore artistico e regista, gira alcuni telefilm per la BBC,
esordendo alla regia cinematografica nel 1994 con Piccoli
omicidi tra amici (Shallow Grave). Il tema è quello
delle amicizie distrutte dall'ossessivo attaccamento ai soldi, con
personaggi sfuggenti e dal comportamento irrazionale. Il successivo
Trainspotting (1996) è un cult che
reinventerà il modo di rappresentare l'universo giovanile,
provocando scandalo per una certa libertà espressiva (si veda l'uso
dell'angolazione visiva e dei movimenti di
macchina), e per la maniera realistica di raccontare
disfacimento morale e tossicodipendenza, anche nei suoi risvolti
più grotteschi. Seguono Una vita esagerata (A
Life Less Ordinary, 1997) e The Beach (2000) che prosegue sulla
strada di una rappresentazione anticonvenzionale dell'universo
giovanile nel suo desiderio di ribellione, tipico peraltro di un
certo cinema anni Novanta.
Due anni dopo Boyle realizza anche
un horror come
28 giorni dopo (28 Days Later..., 2002): zombi iper-veloci
e infetti in una Londra digitale.
Se poi all'interno del suo cinema
sociale non è mai mancata una critica nei confronti del
dell'attuale distorta percezione del denaro, con The
Millionaire (Slumdog Millionaire, 2008) si passa da un
ironico pessimismo a un'idea di possibile riscatto sociale e lieto
fine.
Dopo la consacrazione
internazionale di The Millionaire, arriva 127 ore
(127 Hours, 2010): un unico personaggio e un'unica location
per raccontare la storia, drammatica e vera, di un alpinista
rimasto intrappolato in un Canyon per 5 giorni.
Trainspotting (id., 1996)