(C. T. Dreyer, La passion
de Jeanne d'Arc, 1928)
La storia di Giovanna d'Arco
raccontata attraverso il suo processo. Rouen 1431: Giovanna viene
interrogata e le sue risposte suscitano l'ilarità dei giudici. Solo
uno si getta ai suoi piedi e si pente. Gli altri invece preparano
una finta lettera del re di Francia per indurre la ragazza a
riconoscere la sua colpevolezza. La donna tuttavia non cade nella
trappola. Alla vista della ruota nella sala delle torture,
tuttavia, Giovanna, ormai allo stremo, decide di ritrattare. Messa
di fronte all'alternativa tra il rogo e l'abiura, la pulzella
sceglie l'abiura e viene quindi condannata al carcere a vita.
Pentitasi per aver firmato, però, Giovanna annuncia di aver mentito
alla corte, andando incontro così alla morte sul rogo. Vestita di
bianco, sale sulla pira e muore tra le proteste e i pianti della
folla.
Definito un esempio mirabile di
cinema «antropologico», ruota attorno al tema cardine dell'essere
umano oppresso dalla società, che, nel caso di Giovanna d'Arco,
rifiuta di rinnegare i suoi ideali e anzi accetta la morte come
conseguenza della propria intransigenza.
Dreyer sceglie di raccontare
la storia della protagonista purificandola dagli elementi più
esattamente narrativi e spettacolari, concentrando l'azione
drammatica sul serrato confronto tra Giovanna e i giudici. Per
ottenere ciò si avvale di un linguaggio formale di intenso impatto
emotivo, composto di primi e primissimi piani, montaggio
alternato, didascalie in funzione drammatica e sonora: la
cinepresa indaga il volto e il corpo della ragazza per riuscire a
tracciare un ritratto psicologico autentico e nello stesso tempo
creare un personaggio emblematico e complesso, simbolo della lotta
del singolo contro i condizionamenti storici e sociali.